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IL PROBLEMA DELL'OSTEOPOROSI NEGLI ASTRONAUTI

La gravità. La gravità è una delle quattro forze fondamentali della fisica, costituisce una proprietà dell'universo dipendente dalla massa dei corpi e inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra essi. L'effetto più evidente e più immediatamente apprezzabile della gravità nella nostra vita quotidiana è la forza di attrazione che ci tiene ben saldi sulla superficie terrestre e che sperimentiamo come sensazione di peso. Tutte le leggi che governano il movimento sono strettamente dipendenti dal campo gravitazionale in cui il moto stesso si compie: la caduta di un qualsiasi corpo, il moto di una freccia, di un proiettile o dei pianeti sono tutti governati dalle leggi della gravità. La gravità è inoltre responsabile anche di numerosi fenomeni fisici, il cui rapporto con essa è meno intuitivo come ad esempio la spinta idrostatica (o galleggiamento). La forza di gravità influenza anche il corpo umano, governando la capillarità dei vasi ematici, i flussi laminari, l'osmosi e molti altri processi, ma il suo impatto più evidente si ha sicuramente sull’apparato muscolo-scheletrico. Cosa accade in condizioni di microgravità. Il mantenimento di uno scheletro in grado di resistere agli stress della vita quotidiana (a cominciare dallo stare in piedi o dal muoversi sostenendo tutte le altre strutture corporee) è strettamente dipendente dallo stimolo che sullo stesso scheletro esercitano le forze meccaniche gravitazionali ad esso applicate. Se eliminiamo la forza gravitazionale che agisce longitudinalmente sull’apparato osteo-muscolare (come avviene nei viaggi spaziali e nei soggetti allettati per lunghi periodi) si alterano i meccanismi di equilibrio tra fisiologico riassorbimento osseo e neoformazione ossea, con conseguente perdita di osso, che si accompagna ad ipotrofia muscolare da mancata sollecitazione. Nei viaggi spaziali gli astronauti vengono a trovarsi in condizioni di microgravità (giacchè la totale assenza di gravità o gravità zero è una situazione solo teorica). Già nelle prime due settimane una grande quantità di calcio viene mobilizzato dalle osse ed espulso nelle urine (la cosiddetta ipercalciuria). E’ come se l’organismo percepisse il venir meno delle forze gravitazionali applicate longitudinalmente allo scheletro (che sperimentiamo sulla terra) ed agisse di conseguenza alleggerendo un apparato scheletrico sovradimensionato rispetto alle nuove condizioni in cui il corpo viene a trovarsi (microgravità). Allo stesso modo, i muscoli, non sottoposti all’abituale carico di lavoro diminuiscono in volume e vanno incontro ad ipotrofia. Anche altre funzioni corporee si modificano: per esempio si assiste ad una diversa ripartizione dei liquidi nei diversi compartimenti dell’organismo, che si associano a variazioni dell’assetto cardio-vascolare. Un problema nuovo. Finora le missioni spaziali con impiego di equipaggi umani (dalle missioni Apollo fino a quelle Shuttle) avevano una durata media di circa 14 giorni, un tempo adeguato per osservare un’immediato e rapido aumento dell’escrezione urinaria di calcio (ipercalciuria dovuta alla mobilizzazione di calcio dalle ossa), ma non sufficiente a provocare un reale impoverimento della massa ossea degli astronauti. Le cose sono cambiate da quando sono cominciate le missioni a bordo della stazione spaziale internazionale (ISS), che prevedono una permanenza a bordo di circa sei mesi (arco temporale adeguato affinché si osservino iniziali alterazioni osteo-muscolari). La stazione ISS si trova a circa 360 km dalla superficie terrestre e compie più di 15 orbite al giorno intorno al nostro paineta ad una velocità di 25.685,7 Km/h. All’interno dell’ISS gli astronauti operano e vivono in condizioni di microgravità, ma allo stesso tempo svolgono una ridotta attività fisica che richiede solo un minimo lavoro muscolare. Il processo di decalcificazione ossea sarebbe dunque il risultato dell’azione di una ridottissima forza di gravità combinata con l’ipotrofia muscolare. Secondo una prima ipotesi, la causa di questa duplice stimolazione negativa, si riduce l’attività degli osteoblasti (le cellule deputate a depositare la matrice ossea di nuova formazione), mentre aumenta l’azione degli osteoclasti (le cellule che riassorbono l’osso esistente affinché esso possa essere rinnovato). Lo squilibrio tra la neoformazione ossea ed il riassorbimento osseo genera un bilancio negativo che innesca l’osteoporosi, definita come un processo patologico caratterizzato da una ridotta resistenza ossea che espone l’individuo ad un aumentato rischio di frattura. E’ esattamente quello che avviene nelle donne dopo la menopausa. Avanzare insieme nello studio dell’osteoporosi spaziale e di quella terrestre. Gli studi condotti sulle donne in menopausa hanno dimostrato che l’assunzione regolare di integratori di calcio e vitamina D3 (che ne aumenta l’assorbimento intestinale) è in grado di prevenire la perdita di massa ossea nella misura dell’1% all’anno. Al contrario, gli esperimenti condotti sugli astronauti della missione MIR97, indicano che anche l’assunzione di elevate dosi di calcio e vitamina D3 non è in grado di frenare la riduzione dell’attività osteoclastica e l’aumento del reclutamento degli osteoclasti. Dunque le supplementazioni efficaci sulla terra nel contrastare l’osteoporosi non sarebbero altrettanto d’aiuto nello spazio. Nemmeno l’esercizio fisico o i farmaci sembrerebbero garantire gli stessi benefici sperimentabili sulla terra. Nell’esperimento “terranauti”, nei volontari sani obbligati a rimanere a letto per diversi mesi (per simulare condizioni di inattività e mancata stimolazione sull’apparato muscolo-scheletrico molto simili a quelle sperimentate dagli astronauti) si osservava una perdita di massa ossea del 15%, che non poteva essere arrestata nemmeno con programmi intensivi di esercizio fisico in posizione supina. In un successivo esperimento, 90 uomini sono stati obbligati ad un riposo forzato a letto fino a 36 settimane consecutive. Come osservato negli astronauti, l’escrezione urinaria di calcio aumentava rapidamente, fino a raggiungere un picco di 100 mg al giorno entro la sesta settimana; a partire dalla prima-seconda settimana si osservava dapprima un livello di ipercalciuria costante e successivamente si assisteva ad una riduzione progressiva dell’escrezione di calcio con le urine. Tuttavia, la calciuria non ritornava mai ai valori basali osservati nei soggetti prima dell’esperimento. L’esperimento dimostrava che il calcio veniva espulso con le urine già a partire dalle prime due settimane e l’ipercalciuria persisteva per tutte le 36 settimane esaminate, provocando una perdita del 5% di massa ossea ogni mese. E’ per questo che le osteoporosi ipercalciuriche che si verificano “a terra” e ben note agli endocrinologi possono costituire un valido modello di approfondimento dei problemi ossei nello spazio (e viceversa). Ciò è particolarmente importante perché qualsiasi tentativo di limitare la perdita di massa ossea nello spazio (mediante l’esercizio fisico, compressioni sullo scheletro o somministrazione di calcio, fosfati, calcitonia o farmaci bisfosfonati) si è rivelato finora fallimentare. Nemmeno i bisfosfonati (potenti inibitori dell’attività osteoclastica) riuscivano ad impedire completamente il processo di erosione ossea e la perdita di trabecole dovute all’aumento del reclutamento di osteoclasti in esperimenti condotti su animali (studiati in condizioni di prolungata inattività per 12 mesi consecutivi). Gli esperimenti condotti nelle missioni spaziali. La riduzione della forza di gravità sperimentata dagli astronauti durante le missioni spaziali provoca indiscutibilmente delle alterazioni dell’omeostasi del calcio nell’organismo. Gli astronauti delle missioni Gemini, Apollo e Skylab sperimentavano un’aumentata escrezione di calcio nelle urine. Dopo 84 giorni di permanenza nello spazio, gli astronauti delle missioni Skylab presentavano una riduzione della massa ossea pari al 4%, con un processo simile in tutto e per tutto a quanto osservabile a terra in caso di prolungata immobilità. Resta anche da chiarire fino a che punto le alterazioni ossee qualitative (perdita e assottigliamento delle trabecole osse, aumento degli spazi inter-trabecolari ecc.) e quantitative (densità minerale ossea) sperimentate dagli astronauti possano essere validamente corrette dopo il loro rientro a terra. E’ anche possibile che l’alterazione dell’attività cellulare degli osteoblasti e degli osteoclasti sperimentata dagli astronauti possa determinare una perdita ossea irreversibile, con conseguente prematura insorgenza di osteoporosi senile a distanza di molti anni dalle missioni spaziali. I ratti studiati all’interno di biosatelliti russi dimostravano un processo osteoporotico in cui la componente predominante era la riduzione della neoformazione ossea. Negli animali esaminati, la perdita di osso trasecolare sembrava un processo non reversibile dopo il rientro a terra (al contrario dell’osso di tipo corticale, che sembrava suscettibile di recupero). Conclusioni. L’osteoporosi degli astronauti rappresenta quindi uno dei maggiori ostacoli al progresso dei programmi spaziali, giacchè sarebbe oltremodo pericoloso esporre gli astronauti a permanenze molto lunghe in ambiente microgravitario: per andare e rientrare da Marte attualmente ci vorrebbero circa tre anni, di sicuro un tempo sufficiente per causare gravi danni all’apparato osteo-articolare dell’equipaggio. Tuttavia, la patogenesi e i processi responsabili dell’osteoporosi negli astronauti non sono ancora stati chiariti e necessitano approfondimenti in tempi ragionevoli. L’agenzia spaziale europea è fortemente impegnata in questo campo e intende favorire la collaborazione con il mondo scientifico e medico in particolare affinché il nostro Paese possa fornire contributi importanti alla risoluzione di questo problema di grande rilevanza per il futuro della nostra permanenza nello spazio. In quest’ottica e in collaborazione con l’ESCEO (la società scientifica europea dell’osteoporosi) si sta avviando un gruppo di lavoro dedicato a risolvere questo problema…perché l’uomo possa continuare a volare lontano.

Gravity. Gravity is one of the four fundamental forces of physics, it is a property of the universe dependent on the mass of the bodies and inversely proportional to the square of the distance between them. The most obvious and immediately noticeable effect of gravity in our daily lives is the force of attraction that keeps us firmly on the Earth's surface which we perceive as the concept of weight. All laws that govern the movement are closely dependent on the gravitational field of the motion itself: the fall of any body, the movement of an arrow, a bullet or the planets are all governed by the laws of gravity. Gravity is also responsible for many physical phenomena whose relationship with it is less intuitive, such as hydrostatic thrust (or floating). The force of gravity also affects the human body, controlling capillarity of blood vessels, laminar flow, osmosis and many other processes, but its most obvious impact is definitely on the musculoskeletal apparatus. What actually happens in conditions of microgravity.The human body needs to cope with the stress of everyday life (starting from standing or moving supporting all other body structures) which is closely dependent on the stimulus that the body itself exercises the gravitational mechanical forces applied to it. If we eliminate the gravitational force acting longitudinally on the osteo-muscular apparatus (as in space travels and in subjects bedridden for long periods), the balance mechanisms between physiological bone resorption and new bone formation trigger bone loss together with muscular hypotrophy caused by lack of sollicitation. In space travel the astronauts are in a state of microgravity (since the total absence of gravity or zero gravity is a theoretical situation only). Already in the first two weeks a large amount of calcium is mobilized by the bones and expelled in the urine (the so-called hypercalciuria). It is as if the body perceives the loss of gravitational forces applied longitudinally to the body (which we experience on earth) and acts accordingly by lightening an oversized skeletal apparatus compared to the new conditions in which the body is found (microgravity). Likewise, muscles, which are not functioning normally, diminish in volume and go into hypotropy. Other bodily functions also change: for example, there is a different distribution of liquids in the various compartments of the body, which are associated with changes in the cardiovascular trim. A new problem. So far space missions using human crews (from Apollo missions to Shuttle missions) had an average duration of about 14 days, an adequate amount of time to observe an immediate and rapid increase in urinary calcium excretion (hypercalciuria due to mobilization of calcium from the bones), but not enough to cause a real depletion of the astronauts' bone mass. Things have changed since the missions on the International Space Station (ISS) started, which require the presence on board of a space station of about six months ( enough time to observe osteo-muscular changes). The ISS station is about 360 km from the Earth's surface and completes more than 15 orbits a day around our planet at a speed of 25,685.7 Km / h. On board of the ISS, astronauts operate and live governed by microgravity, but at the same time perform limited physical activity which requires a minimum of muscular effort. The bladder decalcification process would therefore be the result of the action of a very small force of gravity combined with muscle hypotrophy. According to a first hypothesis, the cause of this dual negative stimulation reduces the activity of osteoblasts (cells depleting the newly formed bone matrix) while increasing the action of osteoclasts (the cells in charge of laying out the new bone formation matrix). The imbalance between new bone formation and bone resorbption generates a negative balance that triggers osteoporosis, defined as a pathological process characterized by reduced bone resistance that exposes the individual to increased risk of fracture. It is exactly the same reaction as in women after menopause. Advancing together in the study of spatial and terrestrial osteoporosis. Studies on menopausal women have shown that regular intake of calcium supplements and vitamin D3 (which increases intestinal absorption) is able to prevent bone loss by 1% on a yearly basis. In contrast to this, experiments conducted on astronauts of the MIR97 mission indicate that even high doses of calcium and vitamin D3 are not able to curb the reduction of osteoclastic activity and increase recruitment of osteoclasts. Therefore effective supplements to counteract osteoporosis on the surface of the Earth would not be as helpful in space. Not even exercise or drugs seem to have the same beneficial effects as they do on earth. In the "earthnauts" experiment, healthy volunteers who were forced to stay in bed for several months (to simulate conditions of inactivity and lack of stimulation on the musculoskeletal apparatus very similar to those experienced by astronauts) there was a loss of bone mass of 15 %, which could not be stopped even with intensive exercise programs in the supine position. In a subsequent experiment, 90 men were forced to rest in bed for up to 36 consecutive weeks. As observed in astronauts, urinary calcium excretion rapidly increased to a peak of 100 mg per day within the sixth week; from the first to the second week, a constant level of hypercalciuria was first observed and subsequently a progressive reduction of calcium excretion with urine was observed. However, calciuria never returned to baseline values ​​observed in subjects before the experiment. The experiment showed that calcium was excreted with urine as early as the first two weeks and hypercalciuria persisted for all the 36 weeks of testing, causing a bone mass loss of 5% each month. That is why hypercalcuric osteoporosis that occurs "on the terrestrial surface" and well known to endocrinologists can be a valid model for deepening the study of bone related conditions while in space (and vice versa). This is specifically important because any attempt to limit bone loss in space (through exercise, compressions on the body or calcium administration, phosphate, calcitone or bisphosphonate drug intake) has so far proved to be of no avail. Not even the bisphosphonates (potent inhibitors of osteoclastic activity) were able to completely inhibit the process of bone erosion and the loss of trabecules due to increased osteoclast recruitment in experiments performed on animals (studied in conditions of prolonged inactivity for 12 consecutive months) . Experiments conducted during space missions. Reducing the force of gravity experienced by astronauts during space missions undoubtedly causes alterations of calcium homeostasis in the body. Astronauts from Gemini, Apollo, and Skylab missions experienced increased calcium excretion in the urine. After 84 days in space, the astronauts of the Skylab missions had a 4% reduction in bone mass very similar to what can be observed on the Earth's surface in case of prolonged immobility. It remains to shed some light so to what extent qualitative bone disorders (loss and thinning of bone trabecules, increased inter-trabecular spaces, etc.) and quantitative (bone mineral density) experienced by astronauts can be validly corrected after their returning to Earth's surface. It is also possible that alteration of the cellular activity of osteoblasts and osteoclasts experienced by astronauts can cause irreversible bone loss, resulting in premature onset of senile osteoporosis many years after space missions. Rats which underwent tests on Russian biosatellites showed an osteoporotic process in which the predominant component was the reduction of new bone formation. In the animals examined, transecular bone loss seemed a non-reversible process after landing (as opposed to the cortical bone, which seemed to be more prone to recovery). Conclusions. The astronauts' osteoporosis is therefore one of the major obstacles to the progress of space programs, as it would be extremely dangerous to expose astronauts to long stays in a microgravity environment:. For the time being, to go and return from Mars would take about three years, surely enough time to cause serious damage to the crew's osteo-articulation apparatus. However, the pathogenesis and responsible processes of osteoporosis in astronauts have not yet been clarified and need to be thoroughly investigated over time. The European Space Agency is strongly committed to this field and intends to foster cooperation with the scientific and medical world especially so that our country can bring its contribution to the resolution of this issue of great relevance to the future of our ability to spend more time in space. To this end and in collaboration with ESCEO (The European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis, Osteoarthritis and Musculoskeletal Diseases) a group dedicated to solving this problem is being set up ... so that man can continue to fly out there. traduttore: Sig. Aureliano Macioce

Fonte Dr. Prisco Piscitelli